Prima di affrontare i tre livelli del corso sommelier AIS e diplomarmi, per me i vini bordolesi erano semplicemente i vini rossi che si fanno a Bordeaux (giusto per l’assonanza di nome…). Nessuna idea che fossero il risultato dell’unione di diversi vitigni: in primis Cabernet Sauvignon a dare corpo/struttura e Merlot che aiuta a gestire l’aggressività aggiustandola con maggiore morbidezza e rotondità. A questi si aggiungono a seconda delle produzioni Petit Verdot (garante della speziatura), Cabernet Franc e Carmenère, questi ultimi caratterizzati da una componente erbacea. Il tutto cresciuto nel magnifico terroir del Medoc.
E in Italia? Storicamente sviluppato in Toscana, dove talvolta vien utilizzato anche l’onnipresente sangiovese oppure il canaiolo, ha portato alla produzione di vini di assoluta eccellenza a partire dai Supertuscan: Sassicaia, Tignanello, Ornellaia, Solaia, Masseto, tanto per citare alcuni dei vini superbi che hanno raggiunto la fama internazionale. Altre reminiscenze mi portavano in Veneto dove vengono inseriti anche vitigni come raboso e rondinella. Tutto qui? Nemmeno per sogno. Quello che mi ero perso è la presenza di eccellenze anche in Trentino, e l’occasione per rimediare è stata un’indimenticabile degustazione verticale organizzata da AIS Milano con il San Leonardo.
A condurre la serata insieme al marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, proprietario della Tenuta San Leonardo, uno spumeggiante Armando Castagno, giornalista, scrittore e relatore AIS. Prima di entrare nel dettaglio della tenuta e della degustazione due note che valgono per tutte le verticali.
- Perché? Chiaramente per valutare le diverse annate di una stessa etichetta, risultato di stagioni diverse per clima, temperature ecc. che danno unicità a ciascuna bottiglia. Non solo. Nel tempo cambiano anche le pratiche di cantina, a volte anche le % di vitigni utilizzati. Da questo una verticale ci fa capire come si sia evoluto il gusto nel tempo.
- Quale ordine? Si aprono due scuole di pensiero: dal più vecchio al più giovane o viceversa. Io sono della scuola di Castagno ovvero il viceversa, in modo da scoprire man mano le evoluzioni del vino in un percorso verso i profumi terziari.
Veniamo alla Tenuta San Leonardo. Una tra le prime in Italia a credere nel taglio bordolese (prima vendemmia 1982), caratterizzata da un scelta “integralista” e mantenuta nel tempo, dove il bordolese non è mai stato “sporcato” dalle mode (ad es. inserendo altri vitigni autoctoni come il Teroldego): nel San Leonardo troviamo 60% di Cabernet Sauvignon, 30% di Carmenère e 10% di Merlot.
Il terroir poco ha a che vedere con il classico del Medoc, ma sfrutta al meglio le condizioni di terreno e di clima del fiume Adige. Nei 30 ettari a un’altitudine di circa 200 m, troviamo terreni ricchi di argilla per il Merlot e poco più in alto i terreni sabbiosi dedicati a Cabernet e Carmenère. Grandi escursioni termiche che arrivano fino a 20 °C e venti caldi pomeridiani completano il quadro di una zona che riesce a trasmettere la grande eleganza della montagna ai suoi vini.
Ed ecco qualche nota sulle diverse annate degustate
2011 si percepisce il risultato di un’annata calda con grande evidenza ai sentori di frutta matura, in particolare ribes e frutti di bosco ai quali si affiancano viola e rosa. In bocca la fa da padrona la sensazione di setosità dovuta al carattere fenolico del cabernet.
2010 Molto fine al naso risulta più rarefatto, appare la ciliegia e un maggiore sentore etereo. Rimane evidente la potenza in bocca senza essere pesante. Interessante nota sapida.
2008 Annata calda e asciutta e maturazione precoce, con vendemmia breve. Ritroviamo un aroma ristretto con note di gelso e more. In bocca a un attacco quasi abboccato segue a bilanciare una buona nota acida.
2005 Annata molto particolare un po’ tutti i vini sono caratterizzati da salmastro, fluviale. Anche il San Leonardo non fa eccezione con ulteriori note eteree, un colore più scuro e un alcol maggiormente percepito, pur mantenendo una finezza di fondo di un ottimo taglio bordolese.
2003 definito da Castagno “peccaminoso” è un vino di struttura e molto equilibrato dove si è gestita al meglio una delle annate più calde del secolo. Questo anche grazie a un terroir che ha permesso di non vedere tutto il caldo che si è sentito in altre zone d’Italia e non solo. In sostanza un vino che risulta meno complesso del 2005, ma che fa mantiene una buona longevità.
1999 Difficile descrivere in poche parole quello che possiamo definire un vino “leggendario”. Anche qui un’annata calda che ha però portato a un vino con spiccate note floreali tra le altre, un coacervo di sensazioni difficilmente ripetibile in un vino comunque sapido e longevo.
1996 Particolare acidità in partenza fa valere note erbacee e un naso che tende a ingannare sulla reale età del vino, mantenutosi in maniera strepitosa. Arrivano sentori di peperone verde, finocchietto insieme a derivati dalla brace.
1994 Impressionante come il colore pur virando leggermente al granata rimango acceso di fronte a un vino di 23 anni. Aveva ragione Castagno a dire che il potenziale di maturazione arriva ai 25 anni e oltre. Notevole complessità rispetto ai precedenti si ritrova anche sentore di menta e una maggiore speziatura. Buon equilibrio e tannini delicati che puliscono bene la bocca.
Insomma una serata davvero da ricordare e un appuntamento praticamente già programmanto in quel di Borghetto all’Adige prima che il ricordo di questi vini mi abbandoni.