Io che sono nata ad agosto, passerei le mie vacanze solo stesa al sole. Quindi quando il “padrone di casa”, quello piccolo, ha dichiarato che gli sarebbe piaciuto trascorrere il capodanno con la regina, a Londra, figuratevi che notizia è stata per me. Mi sono ritrovata a studiare metropolitane, case vittoriane, cose che un bambino deve assolutamente vedere nella prima visita alla città europea che più amo, ma anche ristoranti da provare assolutamente visto che per la prima volta, dopo parecchi anni, avevo la possibilità di visitare Londra da turista. Una cosa era decisa a priori: dovevamo assolutamente andare al Restaurant Gordon Ramsay, tristellato locale del noto chef che ha fatto della ristorazione uno show.
Perché il Restaurant Gordon Ramsay, prima di tutto perché è stata la prima creatura londinese di Gordon, dove si dice che capiti a volte di incrociarlo, poi perché ha nel menù alcuni dei piatti classici del bizzoso chef, ma anche per i giudizi controversi che lo caratterizzano, nonostante detenga saldamente le 3 stelle dal 2001. In cucina una chef donna, Claire Smyth, unica chef inglese tristellata.
Scateno @abeone sulle tracce del britannico chef. Dal sito, il sistema di prenotazione di opentable non lascia speranze. Ma lui non demorde, scrive una mail senza vincoli di data e orario, poche ore dopo viene richiamato con disponibilità per il 30 dicembre ore 12.00 (giorno di riapertura dopo una settimana di vacanza natalizia). Ok orario un po’ all’inglese, ma fa niente, ovviamente “I confirm my reservation” (allegando carta di credito, sia mai che non ci presentiamo).
Arrivati in Royal Hospital Road, nel trendy e costoso quartiere di Chelsea, ci si trova davanti a un palazzetto tipico del quartiere, bianco con una porta nera. Solo una targa con il logo e il campanello. Un corridoio, come quello che percorreremmo entrando in una qualsiasi casa e poi una hall in penombra, dove un plotone di camerieri si muove rapido e si prepara al servizio curato in ogni più minuto dettaglio, perché il pranzo non sia solo un “pasto”, ma una vera e propria esperienza. Camerieri da tutte le nazioni. Italiani sempre presenti e qui addirittura la piacevole sorpresa di ritrovare, più tardi in sala, Enrico Baronetto, Assistant Restaurant manager, che avevamo già avuto modo di apprezzare nella nostra visita al ristorante A’ Anteprima qualche anno fa.
La struttura del locale è semplice: di fronte la cucina chiusa, a destra i bagni e a sinistra si apre la sala di modeste dimensioni, ma particolarmente calda nei colori e nell’atmosfera grazie a pannelli di tessuto neutri alle pareti e alla perfetta illuminazione. I decori natalizi, bellissimi e suggestivi, a creare riflessi deliziosi sui tavoli rotondi. Una quarantina di coperti, distanze tra i tavoli un po’ sacrificate, ma sedie e posizioni perfette per non creare “contaminazioni” tra gli ospiti.
Veniamo accompagnati al nostro tavolo, dopo poco ci portano i menu e ci chiedono se desideriamo un aperitivo per iniziare: champagne per me e Abeone – Bérêche Côte Premier Cru, Extra Brut a dosaggio quasi zero – e uno “champagne non champagne ma champagne” (uva fermentata non alcolica) per il piccolo di casa. Il maître D- Jean-Claude Breton – è francese, caldo e accogliente come la sala, passa a scambiare due parole con tutti e a “studiare l’ospite” per essere certo che il servizio non abbia pecche, il sommelier tedesco, poi personale spagnolo, altri francesi, inglesi e italiani, almeno 2 forse 3. E poi Enrico che ci ha illustrato i menù con cura e garbo. L’ispirazione dovrebbe essere francese, ma di sicuro c’è anche Italia (ad esempio fuori carta, proprio quel giorno, tagliolini al tartufo, frutto del viaggio natalizio del maître nella zona d’Alba).
Pronti si parte. Dopo una breve esplorazione ai diversi menù decidiamo di mangiare à la carte e di provare piatti diversi così da scambiarceli (con discrezione eh).
Si parte con un amouse bouche importante, un uovo ripieno di mousse alle patate e tartufo. Meglio non si poteva iniziare.
Per me l’entrée forse più nota, un raviolone di aragosta, scampi e salmone affogato in bisque leggera e vellutata di acetosella e guarnito con caviale oscietra. Un piatto di mano femminile, perfettamente bilanciato nei sapori e nelle consistenze e anche sorprendente grazie alla presenza del caviale oscietra che rafforza il gusto di questa delicata composizione. Devo dire un piatto che non si dimenticata.
Per Abeone foie gras pressato con mele verdi, rape, crescione e anatra affumicata, un piatto decisamente più maschile nei sapori, buono forse il meno memorabile. E infine per il fortunato piccolo di casa, unico bambino in sala, uno dei piatti su cui cadono tutti i concorrenti di Hell’s Kitchen: i pettini di mare o capesante dell’isola di Skye, con mele heritage (qui potete scoprire di cosa si tratta), noci, sedano e emulsione di sidro. Il piatto è bello da vedere, una tavolozza in sfumature di verdi e marroni, ispira leggerezza e dolcezza e l’assaggio lo conferma. La sapidità della capasanta si fonde nell’ariosità della schiuma di mela e nelle emulsioni di noci e sidro, per finire con la croccantezza dei sedano tagliato in minuscoli coriandoli. Veramente un gran piatto.
Siamo poi passati ai piatti principali. Nel menù c’erano 3 piatti di pesce (tra cui l’halibut, noto ai fan di Gordon) e 3 piatti di carni. Abbiamo scelto i 3 piatti di carne: maiale, agnello e piccione. I primi due in sostanza prevedevano l’uso di tutte le parti dell’animale proposte in cotture diverse. In tutti e 3 i casi, piatti veramente eccellenti, cotti perfettamente, saporiti e di grande gusto.
Il mio piatto posso definirlo uno dei migliori piatti di carne che abbia mai mangiato: un maialino di latte così realizzato: pancia croccante, filetto arrostito, salsiccia di spalla speziata, guancetta in foglia di cavolo con patate schiacciate e cipollotti. Il tutto servito con il meraviglioso fondo delle diverse cotture del maialino. La semplicità nel piatto e nemmeno un sapore fuori posto. Pancia e guancia due vere e proprie golosità!
L’agnello non è stato da meno. Anche qui composizione di pezzi diversi di agnello di Cotswold cucina alla navarin: ossia uno spezzatino con verdure fatto con parte migliore, zampa, petto confit e spalla. Anche in questo caso il fondo di cottura a insaporire e tenere morbido il piatto. Molto saporito e senza il sapore di selvatico che non amo nell’agnello.
Last, il piatto del ragazzo che nella scelta è stato guardato con occhio ammirato dal maître: il piccione con finocchi, foie gras saltato, lavanda, miele e arancia. Non vi dico quando ha chiesto cottura rear. Stavano per partire gli applausi. Devo dire che ero un po’ spaventata dalla scelta del Lollo. Lavanda, miele e arancia non sono accostamenti semplici: dolce, aspro e profumi decisi che temevo potessero rendere ancora più complesso, il già complesso sapore della carne di piccione. E invece no, piatto apprezzato da lui e da tutti noi.
Ad annaffiare questo sontuoso pranzo una sontuosa bottiglia di rosso, scelta da una carta enciclopedica dove svettano bottiglie da migliaia di sterline: Saint-emilion grand cru di Chateau Haut Saint-Brice.
Prima di arrivare al dessert, un sorbetto al mango servito con cannuccia di vetro. Devo dire che la paura di rompere la fragile cannuccia non lo fa degustare come si deve. Lo si fa in fretta e arrivati alla fine si è quasi felici di avercela fatta senza essersi tagliati la lingua!
La carta dei dessert ingolosisce proprio e tra le opzioni (con un piccolo extra) c’è anche l’Assiette de l’Aubergine: si ha la possibilità di ricevere un piatto per 2 persone per assaggiarne un’ampia selezione. Abeone e io siamo andati su questa scelta, per il coraggioso figlio soufflé alla menta inglese con sorbetto di cioccolato amaro.
Il ragazzo si è visto recapitare un gigantesco soufflé, quasi inquietante. Io e la mia metà un piatto scultura contenente un piccolo soufflé, un parfait di limone con miele, bergamotto e sorbetto allo yogurt di capra; un sigaro di cioccolato affumicato con gelato al cardamomo e arancia sanguinella e infine una tatin di mele con gelato alla vaniglia di tahiti. Non vi dico nulla: guardate la foto e mangiate con gli occhi.
Per salutarci doppia dose (grazie agli attenti camerieri che hanno notato che non ci piacevano per niente) di sfere croccanti ricoperte di cioccolato bianco e ripiene di gelato agli agrumi, servite con un fumante azoto liquido per farle arrivare al tavolo perfettamente a temperatura e gelatine al gelsomino.
Ma non è stato l’unico premio. Uscendo ci hanno dato la possibilità di entrare in cucina e vedere la brigata, quasi tutta maschile nelle capaci mani di una donna, il cui tocco aggraziato vive in ogni piatto. Una piccola cucina, molto ben organizzata presentata con orgoglio da un altro dei giovani camerieri italiani.
Di sicuro una bella esperienza di cucina in un’atmosfera accogliente e per niente snob. La scelta delle materie prime è notevole e le tecniche di preparazione anche, la personalità ai piatti non difetta di sicuro. La marcia in più la dà un servizio a livelli di eccellenza. Non una sbavatura! Last, prezzi importanti, ma non fuori dal mondo per ristoranti di questo livello. I 3 piatti, più annessi e connessi omaggi dalla cucina, à la carte vengono 95 sterline, 125 euro. Vanno aggiunti vini, acqua e il balzello per il servizio. Dico balzello perché ammonta al 12,5% del totale del conto. Non poco se parliamo di conti già importanti. Ma chi mi conosce lo sa: per me viaggi e cibo sono le sole cose per cui penso valga la pena spendere!
Wow…ma i cubi dell’immagine finale cosa sono? E inoltre ti volevo chiedere se Oltre al servizio devi lasciare la mancia.
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Gelatine al gelsomino. Direi che la mancia e’ compresa nel servizio. =P
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